Le lobby della sanità contro la Casa Bianca
dal corrispondente di repubblica FEDERICO RAMPINI
“Questo è il mio test più difficile da quando faccio politica”, confessa Barack Obama a Time. E rivela che un terzo del suo tempo lo dedica solo a questa sfida: la riforma sanitaria. L’opposizione annusa sangue. Il presidente del partito repubblicano Michaele Steele annuncia: “La sanità sarà la sua Waterloo. Lo spezzeremo”.
Qualche segnale incoraggia gli avversari. A sei mesi dall’inizio della sua presidenza, Obama ha avuto un cedimento nei sondaggi. L’indice di approvazione della sua politica oggi non è molto più alto di quelli di Richard Nixon o George Bush dopo il primo semestre. La ragione principale è proprio il crescente disagio dell’opinione pubblica sulla sanità, il più impegnativo cantiere di riforma che Obama ha voluto inaugurare.
Con i costi medici più alti del mondo, una pressione finanziaria insostenibile sia per lo Stato che per i privati, e 47 milioni di cittadini sprovvisti di ogni copertura in caso di malattia, la questione-salute è un groviglio di problemi irrisolti da decenni. Forse inestricabili, per i potenti interessi economici coinvolti. Su questo graviterà la politica americana al rientro dalle vacanze estive. Malgrado un primo voto favorevole in commissione alla Camera, i giochi restano aperti.
Una bocciatura, o una riforma annacquata per non dare fastidio all’establishment assicurativo-farmaceutico-ospedaliero, avrebbe effetti deleteri sul prestigio di Obama. Stavolta non è detto che il suo carisma sia sufficiente. Per azzoppare il presidente si è messa in movimento la formidabile macchina da guerra del “capitalismo sanitario”. Con mezzi finanziari illimitati, campagne pubblicitarie dai toni angoscianti, tattiche calunniose.
La Grande Armada ostile alla riforma include almeno quattro componenti. Compagnie dalle polizze-salute esose. Medici-capitalisti, azionisti degli stessi ospedali dove prescrivono ai pazienti le analisi su cui loro prelevano una percentuale. Industrie hi-tech delle apparecchiature biomediche. Avvocati specializzati nei processi per “errore medico”, i pescecani del contenzioso giudiziario che costringono anche i dottori più onesti a proteggersi moltiplicando procedure inutili. E’ la stessa coalizione di poteri forti che nel 1993 fece deragliare la riforma di Bill e Hillary Clinton, e diede un duro colpo alla credibilità di quell’amministrazione.
Wendell Potter è un “pentito” della lobby sanitaria. Era un top manager del colosso assicurativo Cigna. Disgustato dalla logica spietata di un business “che assicura solo i sani”, oggi lavora al Center for Media and Democracy, per smascherare i metodi dei suoi ex datori di lavoro. “Conosco la loro strategia della paura – dice Potter – e vedo i piani di battaglia già in azione. Hanno una rete di alleati ideologici, si appoggiano sul mondo confindustriale, mobilitano un esercito di opinionisti conservatori, esperti di parte. Martellano nell’opinione pubblica lo spettro di un sistema sanitario socialista, dove fra il paziente e il dottore c’è un burocrate di Stato a decidere. Sono metodi collaudati. Finora hanno sempre funzionato, hanno vinto loro”.
I metodi a cui allude Potter sono sconcertanti: menzogne, annunci terrificanti mirati alle fasce più deboli della società. Un esempio è questo spot televisivo che va in onda nelle fasce orarie di massimo ascolto. Protagonisti una coppia di anziani. Lui è preoccupato per la diagnosi di una malattia grave. Lei rivela al marito: “Non sarà più possibile curarti, lo Stato ha deciso che non vale la pena assistere chi ha la nostra età, invece dirotta i fondi in favore dell’aborto”.
Il messaggio è sparato a 360 gradi, vuole fare il pieno di consensi in molte direzioni: fra la terza età, fra chi ha genitori anziani, più gli anti-abortisti e tutte le fedi religiose che difendono la vita. Lo spot riprende un tam tam che già circolava nei media di destra: la riforma Obama è la legalizzazione dell’eutanasia. E’ la “soluzione finale” che punta allo sterminio dei vecchi per tagliare i costi. L’appiglio? In una delle varie versioni del progetto di riforma è previsto che lo Stato paghi – solo per gli anziani che ne fanno richiesta – una consulenza medica sulle terapie antidolore e il testamento biologico. Tanto è bastato perché partisse la campagna sull’eutanasia di massa, la “morte di Stato” obbligatoria.
Per proteggere il diritto alla vita degli anziani è sceso in campo un fronte di organizzazioni dai nomi ecumenici, rassicuranti: il Consiglio per la Ricerca sulle Famiglie, l’associazione Americani per la Prosperità, il Centro per i Diritti del Paziente. Dietro queste sigle innocenti si nascondono degli strateghi politici di lungo corso, gli anelli di collegamento fra la grande industria e la destra conservatrice.
Un personaggio chiave di questo mondo è una donna di 61 anni, Betsy McCaughey, che già ebbe un ruolo di punta nella sconfitta dei Clinton. Repubblicana di destra, ex vicegovernatrice dello Stato di New York, la McCaughey ha un megafono mediatico importante come columnist dell’agenzia stampa Bloomberg (di proprietà del sindaco di New York). Il titolo della sua ultima analisi diffusa su Bloomberg: “Il piano Obama, ovvero come rovinarsi la salute”. Betsy è un ospite immancabile in tutti i dibattiti televisivi sulla salute, regolarmente citata come esperta di sanità.
Alle sue spalle la McCaughey ha un noto think tank, lo Hudson Institute, che si autodefinisce indipendente ma sforna analisi a senso unico, sparando a zero sulla riforma sanitaria. Lo Hudson fa parte della galassia dei pensatoi conservatori legati all’establishment capitalistico. Nato da una costola della Rand Corporation (vicina all’industria militare), ha tra i suoi finanziatori tutti i colossi dell’industria farmaceutica e biomedica: Ciba Geigy, Eli Lilly, General Electric, Merck, Novartis.
E’ stata la spregiudicata Betsy a insinuare per prima, in un dialogo alla radio col repubblicano Fred Thompson, che le sessioni di consulenza medica offerte agli anziani “li spingeranno ad accorciare la sopravvivenza, a rinunciare alle cure”. Dietro di lei è partito un coro irrefrenabile. La deputata repubblicana Virginia Foxx lo ha detto in un intervento alla Camera: “Impediremo che i nostri vecchi siano mandati a morire da questo governo”. Rush Limbaugh, il più popolare anchorman radiofonico di destra, ha definito l’eutanasìa forzata “lo sporco segreto” della riforma Obama. Il gigante assicurativo WellPoint ha contatto i propri clienti esortandoli a far pressione sui parlamentari nei rispettivi collegi.
La macchina della disinformazione si è messa in moto, mobilitando risorse di ogni tipo. Anche occulte. La Columbia Journalism Review ha smascherato centinaia di lettere di protesta dei lettori anti-eutanasia pubblicate dai giornali di provincia: tutte false, fabbricate da un’agenzia di relazioni pubbliche che lavora per l’American Health Insurance Plans, cioè l’associazione delle compagnie assicurative. La leader dei democratici alla Camera, Nancy Pelosi, è sbottata: “Quello che stanno facendo le compagnie assicurative è immorale!” Ma anche terribilmente efficace. Obama si è sentito interpellare di persona, la settimana scorsa, mentre era in tournée per spiegare la sua riforma. “E’ la promozione dell’eutanasìa?” gli ha chiesto a bruciapelo un’anziana signora.
Robert Cramer, stratega elettorale del partito democratico, è convinto che il presidente affronta la prova del fuoco. “La battaglia sulla sanità – dice – sarà decisa dalla paura. Le assicurazioni private sono i padroni dell’angoscia, stanno producendo un film dell’orrore”. Matt Miller, un altro intellettuale di sinistra che ha influenza sul presidente (è l’autore del saggio La tirannide delle idee defunte), ammette che in questa fase Obama è “preoccupato per le accuse di socialismo”. Al punto da mettere in forse l’elemento decisivo della sua riforma: la creazione di un polo sanitario pubblico, in concorrenza con i privati, per contrastare le tariffe assicurative da rapina.
Pur di affondare l’idea del “polo pubblico”, la santa alleanza del capitalismo sanitario non bada a spese. I finanziamenti ai partiti politici erogati dalle tre lobby alleate – assicurazioni, industria farmaceutica, business ospedaliero privato – sono già balzati fino a 500 milioni di dollari sul finire dell’anno scorso. L’escalation avanza, nel 2009 batteranno ogni record. Con una logica rigorosamente bi-partisan: un tanto ai repubblicani, un tanto ai democratici. E non sono soldi elargiti a pioggia, ma mirati con cura. In queste ultime settimane una marea di donazioni (tutte dichiarate e quindi legittime in base alla legge Usa) sono andate ai Blue Dog, la corrente moderata del partito democratico: sono i deputati in bilico, che sulla sanità potrebbero passare dalla parte dei repubblicani e sabotare definitivamente il piano Obama.
Il capo degli esperti di demoscopea che lavorano per la Casa Bianca, Joel Benenson, consulta nervosamente i sondaggi sulla sanità. Sente l’urgenza di riprendere l’iniziativa: “Bisogna riportare sul banco degli imputati le compagnie assicurative, non lo Stato”. I collaboratori di Obama ricordano due dati. 14.000 americani perdono l’assistenza sanitaria ogni giorno: o perché licenziati (l’assistenza è quasi sempre legata al lavoro), oppure perché colpiti da una malattia grave e abbandonati dalle assicurazioni private. Il secondo dato: i top manager delle maggiori compagnie assicurative intascano stipendi medi di 12 milioni all’anno, e fino a 73 milioni di liquidazione.
L’assicuratore pentito, Wendell Potter, sa perché le compagnie hanno i mezzi per intimidire Obama. “Sul monte-premi delle polizze, il 20% finanzia voci di spesa che non hanno niente a che vedere con la salute: sono le indagini per scartare i pazienti non abbastanza sani; e le spese di lobbying per influenzare la politica”. Decine di milioni di americani, senza saperlo, pagano agli assicuratori un “pizzo” che serve a sabotare la riforma. Contro chi può comprare una fetta del partito democratico, quali chances ha Obama? I più cauti opinionisti democratici già si preparano ad accettare qualsiasi compromesso al ribasso, pur di mascherare una disfatta. I pessimisti rivolgono al presidente lo stesso consiglio usato per l’Iraq: “Dichiara vittoria in fretta, e ritirati”.