Gambia: i 20 anni della dittatura dimenticata
Il 22 luglio in molti Paesi del mondo Ong come Amnesty International, Article 19 Afrique de l’Ouest, Rencontre africaine pour la défense des droits de l’homme e la comunità gambiana in esilio hannoorganizzato proteste e manifestazioni per ricordare il colpo di Stato che ha portato al potere il presidente Yahya Jammeh e sensibilizzare l’opinione pubblica sulla terribile situazione dei diritti umani in Gambia, dove la gente teme di subire un arresto arbitrario e dove la tortura e la scomparsa degli oppositori sono la norma.
In Gambia questo funesto anniversario viene tradizionalmente celebrato sotto il nome di “Giornata della libertà”, Stephen Cockburn, direttore regionale aggiunto per l’Africa Occidentale e centrale di Amnesty International, ricorda che «E’ esattamente da 20 anni che la paura regna in Gambia, Paese dove la lista delle vittime di violazioni dei diritti umani non finisce di allungarsi. Le autorità gambiane devono indagare sulle denunce di violazione dei diritti umani depositate dalle vittime e tradurre davanti alla giustizia gli autori presunti. Devon inoltre abrogare le leggi che rendono questa repressione possibile».
Ma tutto questo rischia di rimanere un desiderio in un Paese nel quale i giornalisti, i difensori dei diritti umani e dell’ambiente, i militanti politici sono perseguitati per aver esercitato il loro diritto alla libertà di espressione.
Dopo essersi impossessato del potere nel 1994, Jammeh ha adottato una serie di leggi che garantiscono l’impunità agli aguzzini del regime e dissuadono le vittime dal cercare di ottenere un qualsiasi risarcimento.
Nel 2001 la dittatura ha emanate una modifica della legge sull’immunità che permette al Presidente di mettere le forze di sicurezza al riparo da ogni accusa per atti commessi nell’ambito dello Stato di emergenza e da loro carta bianca per reprimere qualsiasi riunione ritenuta illegale.
Nel luglio 2013, il governo di Banjul ha modificato la legge sull’informazione e la comunicazione e così ora i giornalisti, i blogger o i semplici internauti accusati di “propagare notizie false” possono finire in galera anche per 15 anni ed essere multati fino a 55- 000 euro, una cifra enorme per questa ex colonia britannica ricavata in un’enclave lungo il fiume Gambia completamente circondata da Senegal..
Cockburn. Sottolinea che «Il governo del president Jammeh deve rivedere queste leggi ed altri testi utilizzati per restringere la libertà di espressione. Le autorità devono inoltre liberare tutte le persone illegalmente mantenute in detenzione , almeno quelle che non sono incolpate di infrazioni riconosciute dalla legge e giudicate nel quadro di processi equi. Devono anche rimettere in libertà l’insieme dei prigionieri di opinione».
Ma Yahya Jammeh che arrivò al potere a soli 29 anni con un golpe militare, promettendo la fine della corruzione, del nepotismo e della povertà del regime di Dawda Jawara che aveva portato il Gambia all’indipendenza, ora esibisce la sua foto alla Casa Bianca insieme a Barack e Michelle Obama, e se ne frega se il bilancio dei 20 anni della sua dittatura è segnato da giornalisti e oppositori “desaparecidos” o che sono andati a riempiere il terribile carcere di Miles 2, mentre solo i più fortunati sono riusciti a fuggire in esilio. Come dice Amnesty Inernational, «Malgrado le proteste delle organizzazioni internazionali di difesa dei diritti dell’uomo, Yahya Jammeh prosegue il suo cammino, boubou bianco, rosario e scettro in mano».
“Il folle di Kanilaï”, come lo chiamano in Gambia, dice di poter guarire l’Aids, la sterilità e l’epilessia con l’aiuto di piante tradizionali e di incantesimi mistici ed ha giurato morte agli omosessuali.
François Patuel, di Amnesty International, chiede alla comunità internazionale di non far più finta di vedere quello che combina questo dittatore. «Yahya Jammeh è delirante, imprevedibile e brutale – dice un ex ministro costretto all’esilio – Ogni anno che passa, la lista delle vittime si allunga». Amadou Scattred Janneh, per 15 mesi ministro delle comunicazioni tra il 2004 e il 2005 e per 15 mesi prigioniero politico e poi espulso negli Usa, non è stato torturato solo perché aveva anche la cittadinanza statunitense.
Al tempo delle primavere arabe la sua Coalizione per il cambiamento in Gambia stampò delle t-shirt con scritto sul davanti “fine della dittatura in Gambia” e sul dietro “Libertà”, tutti quelli che le hanno indossate sono stati arrestati, picchiati e torturati.
Ma come ha potuto un regime così feroce restare al potere in uno Stato così piccolo e privo di risorse? Secondo Baba Leigh, un imam e difensore dei diritti umani, rapito, torturato e poi riuscito a riparare in esilio negli Usa, è proprio la mancanza di interesse della comunità internazionale a garantire la longevità della dittatura: « Yahya Jammeh rapisce, violenta, uccide e massacra il suo popolo.
Ma è riuscito a mantenersi al potere perché la Gambia è una nazione molto povera. La comunità internazionale resta silenziosa semplicemente perché non ha nessun interesse per la Gambia: il Paese non ha petrolio, oro, caffè, quindi quel che vi succede non interessa»
Un’analisi condivisa da Scattred Janneh: «E’ vero che la Gambia è un piccolo Paese, non ha risorse naturali. Ma bisogna che la comunità internazionale volga lo sguardo verso di noi e si mobiliti per aiutarci. Le domandiamo di prendere delle sanzioni mirate: congelare gli averi dei dignitari, impedir loro di viaggiare. Per l’Occidente è un dovere morale quello di mettere fine a questa repressione».
Per Leigh un’altra delle ragioni che permettono al “folle di Kanilaï” di rimanere in sella è l’eterna politica del divide ed impera: «Dirige dividendo la gente. Utilizza l’etnia per praticare la segregazione». La dittatura è soprattutto riuscita ad impedire che si organizzasse la società civile ed anche se l’opposizione politica è riuscita ad organizzare qualche iniziativa non ha avito risultati e la popolazione ha paura del regime.
Anche Madoune Seck, a capo di un’organizzazione gambiana per i diritti civili, dice che «Ci vorrebbe una società civile forte, sostenuta dai media. Ma Jammeh lo ha ben compreso ed ha distrutto i media: oggi non ci sono media privati in Gambia»
C’è un future per I gambiani? L’imam Leigh è piuttosto pessimista sull’ipotesi di un cambiamento nel Paese, ma l’ex ministro Scattred Janneh, ci crede ancora: «Non siamo disperati: dopo tutto, per Gheddafi ci sono voluti ben più di 20 anni. Un giorno le cose cambieranno in Gambia, I gambiani non ne possono più. La gente ha sempre meno paura ed è proprio la paura ad essere la fondamenta del sistema. Se la paura sparirà, il regime sparirà».
Fonte: www.greenreport.it