Così la Cina fa shopping in Africa. Tra il silenzio (colpevole) di Obama
E’ evidente che in questi giorni stia avvenendo un cambio epocale nei rapporti tra nazioni ed economie: il baricentro energetico del pianeta si sta spostando dai paesi arabi alla Russia, divenuta solo pochi giorni fa il maggiore esportatore di energia al mondo grazie all’accordo da 70 milioni di dollari con la Cina, aggiuntasi ai clienti di Putin dopo l’Europa e gli Stati Uniti.
E’ evidente che in questi giorni stia avvenendo un cambio epocale nei rapporti tra nazioni ed economie: il baricentro energetico del pianeta si sta spostando dai paesi arabi alla Russia, divenuta solo pochi giorni fa il maggiore esportatore di energia al mondo grazie all’accordo da 70 milioni di dollari con la Cina, aggiuntasi ai clienti di Putin dopo l’Europa e gli Stati Uniti. Mentre si profila un probabile declino dello strapotere arabo sul mercato del petrolio, si è configurata una nuova inedita alleanza tra superpotenze, un tempo avversarie nella Guerra Fredda ed oggi in una fase di cooperazione all’insegna del “volemose bene”. Naturalmente tutto questo ha un costo: tutti i membri di questa potentissima triade hanno dovuto mediare, moderare alcune proprie posizioni anche di ordine etico.
La Cina in particolare è la nazione che più delle altre due solleva il malessere non solo dei mercati, delle organizzazioni sopranazionali, dell’opinione pubblica ma anche delle associazioni per i diritti umani. Mentre per i Russi la spregiudicatezza cinese non impone alcun dilemma morale, per gli americani qualche problema c’è, ma il pragmatismo di Obama ha consentito di “dimenticare” velocemente la questione tibetana (evitando di incontrare il Dalai Lama a Washington) e di assistere senza commento al saccheggio delle materie prime africane da parte di Pechino.
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