Pensare plurale, verso uno sguardo di comunità
Le nostre comunità sono attraversate da fratture profonde, che si stanno allargando sempre di più, e da fragilità sempre più allarmanti. Parallelamente esiste e resiste l’opera instancabile di chi non si arrende a tutto ciò come quella del volontariato: persone che decidono liberamente di prendersi sulle spalle un pezzo di responsabilità. Padova, che nel 2020 è stata capitale europea del volontariato, ha dimostrato cosa vuol dire quando una città intera adotta questo spirito
Le nostre comunità sono attraversate da fratture profonde, che si stanno allargando sempre di più, e da fragilità sempre più allarmanti. Le fratture riguardano principalmente le dinamiche sociali e le differenze di opportunità e di tutela: tra ricchi e poveri, tra centro e periferia, tra città e aree interne, tra uomini e donne, tra cittadini e migranti, tra informati e disinformati, tra occupati e disoccupati, e così via. Le fragilità ormai non si contano più: ambientali e idrogeologiche, del patrimonio artistico e culturale, della scuola, del sistema carcerario, del tessuto produttivo, dei trasporti, delle infrastrutture, della sanità, del welfare, eccetera eccetera.
E sembra inarrestabile il processo che le alimenta entrambe, generando disuguaglianza, frustrazione, spaesamento, ansia e preoccupazione.
Credo sia dal mix di queste fratture e fragilità, unite al populismo rampante e al lavoro senza scrupoli degli ultras dell’odio, che derivi quella tendenza all’egoismo, al menefreghismo, all’esclusione e al sospetto, che osserviamo dal micro al macro e che ha tanti modi di esprimersi: dai no-mask ai vari “complottismi”, passando per i neofascismi, i nuovi nazionalismi e i fondamentalismi di ogni natura. Vediamo un mondo che non sa più stare insieme e riconoscersi comunità, nemmeno nei momenti più bui. Sentiamo persone auspicare la dittatura per punire i “diversi” e allo stesso tempo scandalizzarsi per le limitazioni anti-Covid. Vediamo Comuni litigare con le Regioni, Regioni litigare con il Governo, Paesi uscire dall’UE e altri bloccare il bilancio comunitario perché viene chiesto di rispettare lo stato di diritto. Vediamo un Presidente degli Stati Uniti che perde le elezioni e che non riconosce la sconfitta, incitando i propri stessi concittadini alla rivolta.
Si ha spesso la percezione di vivere in mondo complesso, frammentato e fragilissimo che cerca nella semplificazione e nel conflitto la via di fuga irrazionale dalle proprie paure. Sembra che nessuno si preoccupi della “casa comune”. Ma è questo il contesto in cui devono rassegnarsi a vivere e crescere la mia generazione e quelle future? Sono convinto di no.
Parallelamente al fluire contorto di queste dinamiche distruttive ed allarmanti, esiste e resiste l’opera instancabile di chi non si arrende a tutto ciò. E senza fare rumore, come nella celebre metafora della foresta che cresce, tiene insieme i pezzi e permette al mondo di andare avanti e addirittura di migliorare un passo alla volta. Ci sono “luoghi” – fisici e metaforici – in cui si agisce per il bene comune e si creano le condizioni per lo sviluppo sostenibile e inclusivo. Ci sono dinamiche proattive e costruttive che contaminano positivamente le comunità in ogni angolo del pianeta.
Il volontariato ne è un esempio illuminante, con i suoi milioni e milioni di protagonisti quotidiani. L’essenza del volontariato sta infatti nel non girarsi dall’altra parte: di fronte alle fratture e alle fragilità, una volontaria o un volontario decidono liberamente di prendersi sulle spalle un pezzo di responsabilità e di provare a fare la propria parte. Nessuno se lo aspetta, nessuno glielo chiede, ma il volontariato interviene e attraverso il suo intervento porta la comunità ad accorgersi di un problema, di una contraddizione. E spesso a risolverla.
A volte succede che questo approccio sia fatto proprio da tutta la comunità. Padova, che nel 2020 è stata capitale europea del volontariato, ha dimostrato cosa vuol dire quando una città intera adotta lo spirito del volontariato per far fronte ad un momento difficile. È stato un laboratorio a cielo aperto, con l’Amministrazione giusta al momento giusto e un Sindaco che ha saputo favorire un clima di fiducia e collaborazione che ha connesso tutti, dai cittadini alle istituzioni, dalla Diocesi alle categorie economiche, dall’Università al volontariato e il terzo settore. E in questo contesto, mi sia consentito, c’è stato un Centro Servizio Volontariato che si è messo a disposizione della città e ha svolto quel ruolo di coordinamento e connessione che in tempi normali – nonostante i tentativi del pubblico – non viene presidiato e agito con vera efficacia da nessuno.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti, in termini quantitativi e qualitativi. Non torno sui numeri, disponibili ovunque, né sulle singole storie, alcune incredibili e commoventi, altre strazianti. Non voglio neanche riprendere il racconto dei progetti e degli eventi nati dai Tavoli di lavoro. Quello che conta focalizzare oggi, dal mio punto di vista, è quanto tutto ciò che è successo sia stato generativo e trasformativo. Sono nate relazioni significative, tra persone, tra volontari e destinatari, tra enti e organizzazioni. Destinatari sono diventati volontari, organizzazioni hanno imparato a collaborare, mondi diversi si sono dati la mano e fatto pezzi di strada insieme. Le competenze sono state messe in circolo, tutti sono cresciuti, e la comunità ha saputo resistere meglio all’onda della crisi. È un dato di fatto, che qui rischiamo di dare per scontato ma che possiamo cogliere meglio andando a vedere com’è andata altrove.
Di fronte a noi abbiamo mesi, anzi anni, difficili. Inutile negarcelo. Inutile illudersi che basterà la fine della pandemia – quando ci arriveremo – per tornare come prima. Saranno anni difficili che sicuramente accelereranno le fratture e le fragilità di cui parlavo prima. E nessuna persona che abbia un minimo a cuore la propria comunità può far finta di non sapere che ci sarà chi ne approfitterà: dalla criminalità organizzata alla politica del malaffare e dell’odio.
Dobbiamo agire immediatamente per limitare al massimo le difficoltà, favorire la giustizia sociale e mantenere coesa la comunità.
Lo dico subito: il volontariato non è la soluzione. Troppo facile pensare che ci saranno delle “anime candide” che risolveranno i tanti, troppi problemi che ci attendono. Il volontariato, con il suo insegnamento del 2020, ha tracciato una strada, e ora che tutti hanno visto dove porta, possono scegliere di continuare a costruirla. Ognuno per il suo ruolo, perseguendo insieme quella che secondo me è la vera soluzione: lo sviluppo di comunità.
Per farlo dobbiamo fare tesoro di quanto abbiamo imparato negli ultimi mesi. Penso ci siano quattro elementi centrali da tenere in considerazione per lavorarci concretamente:
- La cabina di regia: una comunità deve dotarsi di un motore, dedicato a favorire e coltivare le relazioni di rete e le collaborazioni territoriali. Cioè a fare quello che nessuno fa, perché legittimamente impegnato a far funzionare la propria organizzazione. Un ruolo che non può essere dell’Ente pubblico, per tanti motivi che qui non posso approfondire ma che ai più risulteranno ovvi, legati soprattutto alla sua complessità e farraginosità: alla Pubblica Amministrazione spetta invece rafforzare e interpretare al meglio il suo ruolo di indirizzo, di visione strategica e politica;
- La dotazione di un fondo: i processi di innovazione sociale, così come ogni progetto o percorso di solidarietà, devono essere il più possibile leggeri e auto-sostenibili, ma richiedono risorse per partire. Magari poche, e gestite ovviamente in maniera oculata e orientata all’impatto, ma servono e sono imprescindibili. Risorse pubbliche, così come risorse private, raccolte da donazioni solidali di cittadini e imprese;
- La collaborazione tra pubblico e privato, che per quanto riguarda il volontariato e il terzo settore trova la sua strada maestra nella co-progettazione e nella co-programmazione: bisogna riconoscere che il pubblico non ha l’esclusiva nella volontà di prendersi cura del bene comune, ma che concorre ad essa in buona compagnia con tanti altri;
- La trasversalità: bisogna superare gli steccati ideologici e di categoria. Non si possono fare i recinti per le associazioni, per le imprese, per gli enti pubblici, per il mondo dell’istruzione, della ricerca, dell’informazione… E moltiplicare così le soluzioni invece di individuare insieme quelle più efficaci. Quando si affronta un problema bisogna farlo mettendo in circolo le competenze e le esperienze, contaminando ed ibridando il più possibile i percorsi progettuali.
Accanto a questi elementi fondativi, serve capacità di pensiero di comunità. Servono spazi di confronto culturale, di dibattito, di stimolo e, perché no, di provocazione. E servono luoghi fisici dove finalmente reincontrarsi, sperimentare, progettare.
Soprattutto serve tempo, da dedicarsi e da dedicarci, perché non esistono soluzioni magiche e veloci ai mali che ci attraversano. Anche per questo bisogna partire subito, agire tempestivamente.
Tornando a Padova, per questa città si tratta di capitalizzare e di non disperdere tutto ciò che è stato fatto e vissuto. Mettere a sistema l’enorme patrimonio che ancora c’è, e farlo lievitare grazie agli elementi di cui sopra. Non c’è tempo da perdere, e se è vero che, come ha sottolineato il nostro Presidente Mattarella, “è il momento dei costruttori”, bisogna fare un passo avanti, un passo avanti di comunità. E costruire insieme il modello di sviluppo per affrontare la crisi e immaginarci ancora un futuro.
Fonte: http://www.vita.it/it/article/2021/01/21/pensare-plurale-verso-uno-sguardo-di-comunita/158057/
*Niccolò Gennaro, direttore CSV Padova
foto di Valentina Borgato