Perché la crisi della multinazionale Glencore fa paura a tutti
Storia di una multinazionale che potrebbe scoprirsi colosso con i piedi d’argilla. Di una società quotata in Borsa che riassume tutte le perversioni del capitalismo moderno. Di un possibile fallimento che potrebbe mettere in ginocchio il mondo.
Glencore International plc è una multinazionale che abbraccia il commercio delle materie prime dall’origine al mercato delle commodity, un mostro cresciuto dalla dimensione di trading desk a quella di gigante che controlla una parte significativa delle transazioni globali di materie prime. Le sue dimensioni e il sospetto che sia in crisi, fanno tremare i mercati.
Già in passato la riservatezza su conti e affari di Glencore aveva sollevato polemiche, qui The Guardian:
ALLARME GLENCORE PER LECONOMIA GLOBALE
Glencore vende le miniere, Glencore vende sussidiarie, Glencore è soffocata dai debiti, ma ai più è difficile persino afferrare cosa sia la Global Energy Commoditity Resources, multinazionale anglo-svizzera con sede a Baar, in Svizzera e ufficio registrato a Saint Helier, Jersey, Isole del Canale, opportunamente off shore.
Quotata a Londra, Hong Kong e Johannesburg la Glencore è la più grande trading company di materie prime nel mondo, nel 2010 controllava ad esempio metà del mercato del rame, il 60% di quello dello zinco, il 9% di quello del grano e il 3% di quello del petrolio, l’anno scorso era classificata al decimo posto tra le compagnie più grandi al mondo nella lista di Fortune Global 500, una dimensione raggiunta anche grazie all’acquisizione di Xtrata nel 2013, un altro gigante del settore che però ora pesa su bilanci di Glencore, che all’epoca si è impegnata a sborsare 30 miliardi di dollari per l’operazione.
Nel 2014 era anche l’unica azienda tra le blue chip a non avere una sola donna nel suo board, ma dopo le proteste di alcuni fondi pensione e azionisti ha rimediato nominandole una, anche se senza eccessivo trasporto.
UN GIGANTE CHE FA DI TUTTO
Glencore a differenza dei trading desk tradizionali è evoluta negli anni fino a possedere una grande quantità d’impianti di produzione in tutto il mondo e di joint venture o partecipazioni in società minerarie, giganti dell’agroalimentare, industrie per la produzione di metalli e altro ancora, come la proprietà della più grande area di stoccaggio e distribuzione al mondo per metalli.
La sua natura ibrida di trader e produttore le ha dato enormi vantaggi competitivi, ma sembra che la distribuzione multinazionale dei suoi interessi sia sufficiente a farle sfuggire il sindacato delle autorità antitrust in tutto il mondo e conservare le sue dimensioni monstre.
Le multinazioni dovrebbero agire in un mercato globale ben regolemntato dalle nazioni unite e dalle organizzazioni del commercio internazionale per evitare che diventino i padroni del mondo e della nostra vita.
Fonte: www.giornalettismo.com