Tutto quello che c’è da sapere sulle elezioni europee
Dal 22 al 25 maggio nei 28 paesi dell’Unione europea si svolgeranno le elezioni per il rinnovo del parlamento europeo. Le operazioni di voto cominceranno giovedì 22 maggio nel Regno Unito e nei Paesi Bassi, mentre Repubblica Ceca e Irlanda voteranno il 23. L’ultimo paese dove si chiuderanno i seggi è l’Italia, dove si potrà votare fino alle 22 di domenica.
La Commissione europea ha proibito agli stati che voteranno in anticipo di pubblicare i risultati prima della chiusura ufficiale dei seggi per non influenzare il voto negli altri paesi.
I 751 seggi sono allocati in base alla proporzionalità degressiva: i paesi con una popolazione più elevata hanno più seggi rispetto ai paesi di dimensioni minori, ma questi ultimi ottengono un numero di seggi superiore a quello che avrebbero sotto il profilo strettamente proporzionale. La Germania, il paese più popoloso dell’Ue, ha diritto a 96 seggi, ovvero uno ogni circa 900mila abitanti, mentre Malta ne ha 6, uno ogni 67mila abitanti. La Francia ha 74 seggi e l’Italia e il Regno Unito 73.
Il sistema elettorale varia da paese a paese, ma tutti prevedono il principio della rappresentanza proporzionale. Alcuni dei paesi più grandi suddividono il loro territorio in circoscrizioni (nel caso dell’Italia sono cinque: nordovest, nordest, centro, sud e isole), mentre altri prevedono un’unica lista. La legge italiana prevede da una a tre preferenze e una soglia di sbarramento al 4 per cento.
I candidati si presentano nelle liste dei partiti nazionali e solo in seguito all’elezione decidono se entrare nei gruppi parlamentari dei partiti europei. Nel parlamento attuale esistono sette raggruppamenti: il Partito popolare europeo (Ppe), i Socialisti & democratici (S&d), l’Alleanza dei democratici e dei liberali per l’Europa (Alde), i Verdi europei – Alleanza libera europea (G/Efa), i Conservatori e riformisti europei (Ecr), la Sinistra unitaria europea – Sinistra verde nordica (Gue/Ngl) e l’Europa della libertà e della democrazia (Efd). I parlamentari che scelgono di non appartenere a nessuno di questi entrano nel gruppo dei non iscritti.
Nessun raggruppamento ha mai raggiunto la maggioranza dei seggi e storicamente il parlamento è sempre stato dominato dall’alleanza di fatto tra i due gruppi più importanti, i popolari e i socialisti, che si sono alternati alla presidenza dell’istituzione durante l’ultima legislatura.
Dal 1979 il parlamento europeo è l’unica istituzione dell’Ue i cui membri sono eletti direttamente. Le sue origini risalgono all’Assemblea comune della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, che si incontrò per la prima volta nel 1952 e i cui membri erano scelti dai parlamenti nazionali tra i loro deputati. Nel 1962 l’istituzione ricevette la denominazione attuale, ma l’elezione diretta dei suoi rappresentanti fu rimandata dalle dispute tra i paesi membri.
Il parlamento ha sede a Bruxelles ma secondo lo statuto deve tenere almeno dodici sedute plenarie all’anno a Strasburgo. In queste occasioni circa cinquemila persone devono spostarsi tra le due città. Le trasferte, che costano tra i 150 e i 200 milioni di euro all’anno, sono oggetto di costanti polemiche e nel novembre scorso i parlamentari hanno votato in favore dell’abolizione della sede di Strasburgo, ma la Francia ha posto il veto.
Insieme al Consiglio dell’Unione europea, il parlamento europeo detiene il potere legislativo dell’Ue. A differenza dei parlamenti nazionali però non dispone dell’iniziativa legislativa, cioè non può proporre direttamente nuove leggi ma solo chiedere alla Commissione europea di farlo o emendare leggi già proposte.
Il trattato di Lisbona del 2009 ha esteso le competenze e i poteri del parlamento, che ha da allora contribuito a stilare il 70 per cento della legislazione europea. Il parlamento può adottare risoluzioni non vincolanti su questioni di competenza della Commissione o dei governi e deve approvare gli stanziamenti dei fondi europei.
Dopo le elezioni europee cominceranno le consultazioni per la formazione della nuova Commissione europea, i cui membri sono nominati dai governi nazionali ma dovranno essere approvati dal parlamento. Il trattato di Lisbona prevede che da quest’anno la composizione della Commissione dovrà tener conto dei risultati delle elezioni europee. Secondo alcune interpretazioni questo avrebbe dovuto significare la nomina di un presidente appartenente al partito che avrebbe ottenuto più voti, ma la cancelliera tedesca Angela Merkel ha in seguito chiarito che non si tratterà di un passaggio “automatico”.
I candidati alla Commissione. In ogni caso cinque partiti europei hanno annunciato i loro candidati alla presidenza della Commissione: l’ex premier del Lussemburgo Jean-Claude Juncker (popolari), il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz (socialisti), l’ex premier belga Guy Verhofstadt (Alde), José Bové e Ska Keller (verdi) e il leader del partito greco Syriza, Alexis Tsipras (Sinistra europea).
Nelle intenzioni dei partiti l’annuncio dei candidati avrebbe dovuto contribuire a politicizzare il dibattito e a rendere più comprensibile la politica europea. Ma la scelta di personalità poco conosciute al di fuori della “bolla di Bruxelles” sembra aver vanificato questo sforzo: secondo un sondaggio tre elettori su cinque non hanno mai sentito nominare nessuno dei candidati.
Fonte www.internazionale.it