La Repubblica Centrafricana non può aspettare
La corsa contro il tempo è già iniziata. Ma portare il cibo nei villaggi che presto saranno isolati dalle piogge torrenziali rischia di essere una sfida impossibile mentre la guerra è in corso. Succede nella Repubblica Centrafricana dove violenze e distruzioni hanno messo in fuga centinaia di migliaia di persone e quasi metà della popolazione vive una condizione di estrema o forte insicurezza alimentare.
Lo scontro, innescato dal colpo di stato del 2012 e nel quale agiscono elementi religiosi ed etnici, ha praticamente paralizzato i settori vitali dell’economia, soprattutto l’agricoltura (rappresentava il 57 per cento del PIL), mentre si moltiplicano gravissime violazioni dei diritti umani.
Un rapporto, reso noti pochi giorni fa dal Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (WFP) e dall’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), racconta di contadini che hanno abbandonato le loro campagne per paura di essere sorpresi dalla violenze, di uno sforzo di protezione delle agenzie ONU ma anche di fornitura di sementi e di alimenti (il cibo per evitare che i semi diventino il pranzo delle famiglie affamate e non il primo “mattone” del futuro pasto).
La contrazione nel settore agricolo è stata del 37 per cento nel 2013 mentre piccoli e medi imprenditori – vale dire la struttura portante del commercio e dei trasporti – hanno abbandonato il paese. Nella loro fuga si sono uniti alle migliaia di altri (si stima 345.000 persone) che sono fuggiti nei paesi vicini: Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica del Congo, Camerun.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha già deciso l’invio di un nuovo contingente peacekeeping di 12.000 unità, il terzo per importanza dopo quelli inviati, in passato, in Darfur e in Repubblica Democratica del Congo. C’è chi parla ormai di un “rischio Ruanda” pensando alla mattanza nel paese africano, vent’anni fa. Lo ha fatto anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon in una recente vista al paese centrafricano, ricordando ai leader nazionali “la lezione di quella epica tragedia per non ripeterne gli errori”.
Delle tre grandi crisi umanitarie in corso – Siria, Sud Sudan, Centrafrica – quest’ultima rischia di essere la più dimenticata, non solo dai media ma anche dalla comunità internazionale. Infatti, nonostante l’allarme e i gesti generosi di molti paesi donatori o di singoli “filantropi” (come l’americano Howard Buffett), mancano all’appello, per la sola assistenza umanitaria del WFP (fino ad agosto), circa 47 milioni di dollari. La campagna, lanciata in queste settimane dal WFP, recita che il paese (e la sua gente) “non può attendere”. È nelle prossime settimane che si gioca la scommessa di una comunità internazionale capace di rispondere a una crisi che potrebbe diventare ancora più devastante e senza ritorno nell’immediato futuro.
Fonte www.huffingtonpost.it