Dieci motivi per credere nella ripresa in Italia
Dalla maggiore fiducia al ritorno delle imprese, i segnali ci sono. Ma serve la politica industriale.
Doverosa premessa: primo, bisognerebbe diffidare da qualunque cosa venga motivata sotto forma di decalogo, o in multipli di dieci. Secondo, a controbilanciare l’ottimismo ci sono tutti gli effetti e le conseguenze dei cinque anni peggiori dell’economia italiana dal secondo Dopoguerra a oggi.
Però è vero anche che da mesi, ormai, si susseguono deboli segnali. Messi in fila, inducono a credere che la recessione sia alle spalle e che quel che è rimasto del tessuto imprenditoriale italiano stia incamminandosi lungo un sentiero di sviluppo di cui s’iniziano a scorgere i tratti somatici.
Certo, è roba da dire sottovoce e maneggiare con cura. Troppe volte, negli ultimi cinque anni, abbiamo letto vaticini di luci in fondo al tunnel, di inversioni di tendenza, di piedi che toccano il fondo e si danno la spinta per risalire a galla. Non bastasse, viviamo nel Paese delle previsioni riviste sistematicamente al ribasso, per cui la prudenza è d’obbligo.
Eppure, se i segnali ci sono, sarebbe sbagliato sottacerli per paura, ignavia o, peggio, conformismo. Pertanto, ecco la lista dei motivi per i quali ha senso credere in un prossimo rilancio dell’economia italiana. Usatela pure contro di me tra qualche mese, quando faremo la fila fuori dalle banche per provare invano a ritirare i nostri risparmi, mentre l’esercito in grisaglia della Trojka starà bivaccando lungo il Tevere.
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