Non Mandate i Figli all’Università. Imparateli Mariuoli
Non mandate i figli all’università. Insegnategli a fare i ladri. E’ questo l’originale slogan con il quale i dipendenti dell’Informatica Telecomitalia, in procinto di intraprendere il tempestoso viaggio di una cessione di ramo d’azienda, aprono un volantino con il quale cercano di far conoscere il loro comprensibile timore per una procedura che, in Italia, è diventata un modo trasversale ed indiretto per ridurre drasticamente il personale. Cosa piuttosto evidente anche se si nasconde dietro il disputabile italiano di termini dal sinistro eufemismo quali “efficientamento“. (Il correttore automatico è praticamente andato in tilt su questa parola. Ho dovuto far ripartire il computer).
Senza entrare nel merito della questione, che ci riproponiamo di approfondire se e quando saranno disponibili informazioni più certe, è interessante il contenuto dell’invito che, aldilà dell’evidente intento provocatorio, obbliga noi genitori a riflettere sul tipo di educazione da trasmettere ai nostri bambini.
Fino a qualche anno fa era tutto più semplice. Bastava dare il buon esempio, tenerli lontano dalle cattive influenze, magari farli laureare. In fondo a questo percorso c’era la tiepida prospettiva di un impiego dignitoso, la tredicesima e le feste di Natale insieme ai nipotini. Più che una vita, un semifreddo. Probabilmente non eccitante come una carriera di rockstar, di mercenario o di scrittore, ma con la prospettiva di poter cercare di sviluppare la sensibilità interiore che, fortunatamente, non dipende dal danaro o dal mestiere avventuroso che si fa.
Oggi le cose sono più difficili. Tenendo presente la predisposizione, il talento e l’attitudine dei nostri figli che sono l’invalicabile confine entro il quale il rispetto per le nostre piccole persone ci impone di agire, come aiutarli ad affrontare l’accogliente nazione che gli stiamo lasciando?
E’ proprio sicuro che indirizzarli verso lo studio, la rettitudine, l’obbedienza alle leggi ed alle regole sia il modo migliore per predisporli all’opportunità di trovare, un giorno, un po’ di serenità?
Educarli “secondo regola” è una cosa che facciamo per il loro bene o per nostra incapacità di fare qualcosa di diverso?
Se qualcuno è arrivato fino a questo punto nella speranza di trovare una risposta devo deluderlo. A parte il fatto che sono convinto che a domande del genere non esistano risposte giuste, ma solo approcci personali i cui esiti sono sempre da verificare, io stesso non sono certo di quello che sto facendo.
E’ indubbio che, oggi come oggi, un bugiardo, un briccone, un disonesto, un cuore di pietra, un approfittatore, un vizioso, un incontinente hanno molte più possibilità di soddisfare le proprie ambizioni. Fosse solo per il fatto che certe “qualità” sono particolarmente apprezzate in politica e in affari, mentre la strada del posto fisso e della vita semifreddo è diventata una mera illusione trovandomi pienamente d’accordo con quanto scritto qui(1).
E’ anche vero, però, che se pure fossi certo che insegnare alla mia bambina come farsi strada nell’Italia del prossimo futuro le offrirebbe maggiori possibilità, io non saprei trasmettergli questa lezione perché non la conosco. Nessuno me l’ha insegnata e vedere altri metterla in pratica è servito solo ad isolarmi rabbiosamente senza avere (quasi) mai la tentazione di mettermi a fare lo stesso.
Allora mi sono assunto in pieno la mia responsabilità di padre ed ho preso una decisione, anche se non a cuor leggero. Cercherò di insegnarle il rispetto per se stessa, per il suo corpo e per il sangue antico che le scorre nelle vene. Se questo servirà a farla stare in pace con se stessa quando farà le sue scelte, belle o brutte che potranno apparirmi, forse avrò fatto un buon lavoro.
Potrà non piacermi quello che farà, ma spero di essere sufficiente maturo, allora, per capire che se la rende felice e serena è la cosa giusta, indipendentemente da quello che penserà la mente stanca del suo papà.
Piccirè, bell ‘e papà. Si quann’ liegg stì cose io nun ce sto cchiù, te voglie dicere ca t’aggio vuluto bene cchiù da vita mia.
Fonte: mentecritica.net
Qualche mattina fa leggevo la bella lettera di un amico che parlando del suo lavoro da dipendente raccontava dellentusiasmo con il quale sta affrontando le nuove responsabilita che gli sono state affidate e della determinazione che intende avere se e quando si trattera di prendere decisioni difficili e dolorose..Mi ero ripromesso di non commentare o almeno di non commentare troppo. dimostra che laurea e competenza non offrono nessuna tutela a migliaia di specialisti che con lattuale gestione della flessibilita hanno speranza zero di trovare un impiego con retribuzione in linea con la loro anzianita ed esperienza…Le cose infine non sono semplici nemmeno per gli alti quadri aziendali.