Iran: il difficile mestiere di scrivere (senza morire)
La scorsa settimana il Ministero dell’Intelligence ha convocato il segretario generale dell’Associazione dei Giornalisti Iraniani, la signora Badrolssadat Mofidi, e il portavoce Mashallah Shamsolvazein, che è un nostro caro amico con il quale abbiamo condotto molte campagne in favore di colleghi arrestati e condannati. Il Ministero ha comunicato al sindacato nazionale, tuttora fuorilegge, di aver negato l’autorizzazione per una manifestazione da loro convocata per protestare contro gli arresti e le torture in atto contro decine di colleghi in Iran (ne abbiamo contati, con tutta l’approssimazione del caso, almeno una sessantina).
La tortura è una pratica corrente nel carcere di Evin , che conduce spesso alla morte dei detenuti. E’ anche un metodo per portare alla morte dei condannati, attribuendone le cause a fattori accidentali o cause naturali evitando di far lievitare il conteggio sulle esecuzioni che suscita mobilitazioni internazionali e fa lievitare numeri da record nelle statistiche umanitarie.
Ma in questi giorni della più grande mobilitazione popolare dalla Rivoluzione Islamica di Khomeini, l’obbiettivo delle torture è quello di ottenere dai giornalisti confessioni autorevoli che confermino la tesi del Regime sul fatto che la sommossa dell’Onda Verde sia nient’altro che un complotto occidentale. Basti pensare che Ahmadinejad e tutto il suo apparato accusano il corrispondente della Bbc di aver organizzato l’assassinio della giovane Neda reclutando dei killer, per screditare il Regime. Per questo sono stati arrestati i funzionari dell’ambasciata inglese a Teheran e a questo fine è stata aperta un’inchiesta giudiziaria, chiedendo anche all’Interpol l’arresto e l’estradizione del dottor Arash Hejazi che ha soccorso la ragazza e che si è rifugiato a Londra con l’aiuto dello scrittore Paulo Coelho.
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